blog di Alberto Grandi
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Il dono del lupo di Anne Rice, chi ha (ancora) paura dei licantropi?3 min read

1 Marzo 2016 3 min read

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Il dono del lupo di Anne Rice, chi ha (ancora) paura dei licantropi?3 min read

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articolo pubblicato su Wired.it
Il problema di lupi mannari, almeno per quello che mi riguarda, è che spesso sono più ridicoli che spaventosi. Prendete Wolf – La bestia è fuori, film del 1994 con Jack Nicholson e Michelle Pfeiffer. Ricordo che quando andai al cinema, dopo aver visto la scena di Nicholson aggirarsi per le strade di New York annusando come un cane da tartufo, la storia perse ogni possibilità di farmi paura. Prendiamo Thriller, di Michel Jackson: il video è fantastico, un pezzo di storia dell’intrattenimento, ma nessuno mi toglierà dalla testa che Jackson trasformato in licantropo somigli più a gatto Silvestro che a un lupo (foto sotto).

Mentre i vampiri sono alla fin fine degli esseri umani solo un po’ più pallidi e con i canini a punta, i licantropi sono degli ibridi tra l’uomo e la bestia, e si tratta di un’ibridazione difficile da rendere, a meno che non si scelga la via parodica, come Teen Wolf con Michael J. Fox.

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Anne Rice nel suo ultimo romanzo, Il dono del lupo (Longanesi, 6,49 euro in ebook, 16,92 copertina rigida, 442 pagine), prova a metterci paura, ma anche lei, secondo me, manca il bersaglio e non solo perché il suo licantropo non è terrificante, ma risulta pure scontato.
La storia non ci racconta nulla di nuovo: Reuben è un ragazzo bello, ma poco aggressivo, cresciuto in una famiglia dove è sempre stato considerato il cocco di mamma. Una notte viene attaccato da una misteriosa belva che lo morde quasi a morte. Reuben sopravvive e anzi, in ospedale, si rimette completamente. Tornato a casa, smette di essere il cocco di mamma e il giocattolino della fidanzata e, come vittima di una recrudescenza ormonale, comincia a fiutare e a percepire la realtà e ad avvertire verso di essa una sorta di ansia predatrice. In breve, si trasforma.

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La genesi della bestia, qui, avviene attraverso modalità classiche, ovvero per un passaggio di poteri decretato dal morso di un lupo (le stesse modalità di Wolf  – La bestia è fuori). La novità – piccola – sta nel fatto che il licantropo della Rice non emerge al chiaro di luna, ma è come sollecitato dalla malvagità del prossimo. Reuben fiutando l’odore del male, emanato dagli uomini cattivi – assassini, stupratori eccetera –  si trasforma nella belva predatrice.
E com’è “Reuben licantropo”? Qui emergono i problemi. La Rice (foto sotto) ci fornisce generici connotati bestiali: peluria su tutto il corpo, muscolatura aumentata, naso a punta, artigli eccetera. Poi, però, nel corso del romanzo vediamo il lupo sedersi sul divano, digitare sull’iPhone – pur con qualche difficoltà, per via degli artigli – conversare col prossimo, anche se con un tono più gutturale del solito. Insomma, la bestia non è abbastanza bestia. La figura del licantropo non si rinnova come era avvenuto per quella del vampiro in Intervista col vampiro. Le uniche scene in cui Reuben risulta veramente una bestia sono quelle in cui l’autrice lo cala in un contesto naturale e selvaggio e ci descrive il suo rapporto di empatia profonda, mistico e sensuale, con i boschi che circondano San Francisco, la terra e gli altri animali. Per il resto, Reuben è più che altro un supereroe in grado di percepire le voci in lontananza, balzare di albero in albero e sottomettere i cattivi con la sua forza sovrumana.
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Cos’ha di buono questo romanzo?
Si legge d’un fiato. Certo, a tratti, la prosa risulta un po’ troppo veloce. Certe battute, nei dialoghi, si alternano senza soluzione di continuità, come se l’autrice avesse fretta di arrivare alla fine, ma nel complesso la storia regge e non ci annoiamo a leggerla, ma nemmeno ne rimaniamo sorpresi. Reuben non ci affascina come fece Lestat a suo tempo.
Però se volete una lettura da comodino, da affrontare la notte, prima di dormire, senza correre il rischio di avere incubi, perché no?
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