Il metodo "dai la cera, togli la cera" per scrivere un romanzo3 min read
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Alberto Moravia diceva che se non fosse stato uno scrittore sarebbe impazzito o si sarebbe suicidato. Questa dichiarazione, estrema ma forse veritiera, l’aveva rilasciata nel libro-intervista scritto insieme ad Alain Elkann, Vita di Moravia.
In un’intervista Nick Hornby disse che c’è chi scrive perché lo ritiene un’attività formativa e chi perché non ne può fare a meno.
Pirandello disse che «la vita o la si scrive o la si vive». Bukowski affermava: «per me scrivere è volare, è accendere un fuoco. Per me scrivere è tirare fuori la morte dal taschino, scagliarla contro il muro e riprenderla al volo».
Spesso nelle dichiarazioni dei grandi autori c’è questo senso della scrittura vissuta come qualcosa di imprescindibile. Non ha a che fare col successo, con i soldi, il riconoscimento e nemmeno qualcosa di formativo ed edificante. Scrivere è l’unica sopravvivenza possibile.
Mi sono chiesto se un simile rapporto con la scrittura sia veramente una costante nei grandi autori.
Riesce difficile pensare Hemingway fare qualsiasi cosa che non sia scrivere uno dei suoi stupendi racconti o Carlo Emilio Gadda che tiene per sé tutte quelle incredibili pagine in cui ha trattato la lingua italiana come un flipper.
Non so che tipo di scrittori siate, se di quelli che scrivono perché lo trovano un buon modo di impiegare il tempo libero o di quelli che lo fanno perché altrimenti verrebbero divorati dai demoni interiori.
Che siate dell’una o dell’altra categoria, c’è un libro che secondo me potrebbe aiutarvi a migliorare il vostro rapporto con la scrittura. Nel caso siate scrittori per ambizione, questo testo potrebbe incoraggiarvi a proseguire il vostro progetto nei momenti di stanchezza, nel caso lo siate per “condizione imprescindibile”, potrebbe essere uno strumento utile a controllare la scrittura, farne un’arma da usare sapientemente contro i propri demoni interiori, evitando che diventi essa stessa un diavolo che vi possiede.
Il libro in questione è stato scritto da uno psicologo, Robert Boice e si intitola How writers journey to comfort and fluency. Io ne ho sentito parlare per la prima volta su Internazionale. Si tratta di un testo introvabile in edizione cartacea se non a cifre davvero assurde (su Amazon, lo vendevano a più di mille euro!). Invece in formato ebook costa sulla cinquantina
Il testo, a differenza di tanti altri che si prefiggono di aiutarvi a terminare il vostro romanzo, non parla di tecniche di scrittura, non insegna a dosare i dialoghi, a eliminare gli avverbi, a formulare incipit fulminanti. Parte da un altro punto di vista: quello psicologico.
Sostanzialmente, l’autore spiega che lasciarsi soggiogare dalla passione della scrittura, afferrarla come se fosse una Musa che arriva una volta l’anno o, peggio ancora, una volta sola nella vita, è il miglior modo per non terminare un romanzo o per incominciarne cento senza finirli.
Scrivere è un esercizio quotidiano che riesce nel momento in cui lo (ri)dimensioniamo al punto tale da avere la storia sotto controllo.
In sintesi, Boice propone una serie di esercizi per cominciare a scrivere poco, ma regolarmente, dedicando alla Musa molto meno tempo di quello che noi pensiamo meriterebbe. Mano a mano, il tempo ad essa dedicato diverrà maggiore, ma mai preponderante. Saremo noi a controllarle lei e non viceversa.
Alla fine, proprio come il maestro Miyagi insegnava in Katare Kid, una pennellata di cera dopo l’altra, avremo costruito il nostro romanzo, chiuso nel recinto di una vicenda conclusiva immagini e parole.
Parrà un consiglio semplice, quasi banale, ma è il migliore di cui ho letto tra tanti tips & tricks e corsi di scrittura creativa.