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"Solo il mimo canta al limitare del bosco", la distopia di Walter Tevis3 min read

1 Dicembre 2015 3 min read

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"Solo il mimo canta al limitare del bosco", la distopia di Walter Tevis3 min read

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Si fa un gran parlare di distopia. Futuri catastrofici che dominano film, serie tv e romanzi. Dipingere il domani con le tinte più fosche possibili è diventato lo sport preferito da registi e scrittori. Però, ad essere onesti, sono poche le distopie che parlano veramente del futuro (e quindi del presente). Che fanno una riflessione seria sui tempi correnti per indovinare quelli che ci aspettano.
Hunger Games potrà essere una metafora dell’intrattenimento selvaggio, della manipolazione tra classi sociali, ma rimane un grande carrozzone dove a farla da padrone è l’intrattenimento fine a se stesso. Stessa cosa dicasi per Maze Runner o Divergent.
L’unica distopia letta recentemente che mi ha fatto riflettere, l’ha scritta 35 anni fa un autore morto nel 1984, si chiama Walter Tevis;  il romanzo si intitola Solo il mimo canta al limitare del bosco. Minimun Fax, quest’anno, lo ha riproposto in una nuova edizione (nella prima della Nord era comparso col titolo Futuro in trance) arricchita da una prefazione di Goffredo Fofi e da una nota di Jonathan Lethem.

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Walter Tevis ha pubblicato romanzi diventati best seller internazionali e film di successo come Lo spaccone, Il colore dei soldi e L’uomo che cadde sulla Terra. In vita era stato afflitto da un senso di solitudine causatogli dalla malattia, e dall’alcolismo. Temi che rientrano nella sua narrativa. In Solo il mimo canta al limitare del bosco inscena un futuro che ha le sue bravate tipiche di certa fantascienza degli anni Settanta (il libro uscì nel 1980), come gli autobus guidati col pensiero, ma senza cadere nel ridicolo. Gli spunti che ispirano a Tevis la sua utopia negativa sono di carattere più psicologico che tecnologico.
Siamo nel 2467. La specie umana è ridotta a pochi milioni sparsi sul pianeta. Lentamente ha delegato tutti i lavori ai robot e si è isolata affidandosi a una grande quantità di stimoli effimeri e alle droghe. L’uomo è diventato un essere apatico e solitario e ha disimparato a relazionarsi col prossimo e a leggere e scrivere, persino a tenere il conto del tempo (invece di anni o giorni si parla di gialli e azzurri). Il protagonista comincia a prendere coscienza di sé, a riscoprire la propria umanità, proprio a partire dall’alfabeto. Paul Bentley impara a leggere e a leggersi.
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Accanto a Bentley abbiamo il personaggio di Spofforth, un robot modello Nove avanzatissimo che vive il paradosso di intuire l’umanità e le emozioni che la caratterizzano, senza poterle vivere. La sua intelligenza, difatti, è stata copiata da quella dello scienziato che lo ha creato, morto tantissimi anni prima. Spofforth vorrebbe amare, ma non può. Vorrebbe morire, ma è condannato all’eternità perché programmato a non suicidarsi. Tra questi due personaggi che rappresentano lo spirito che si risveglia nella carne e l’intelligenza imprigionata dentro un corpo artificiale, si muove una donna, Mary Lou, desiderata da entrambi: per Bentley l’amore è la realizzazione della sua presa di coscienza, il risveglio delle emozioni, il compimento della sua umanità ritrovata, per Spofforth l’ennesimo tentativo (fallito) di replicare l’umanità a livello emozionale.
Il romanzo, è bene dirlo, è di una tristezza assoluta. Ma ha un suo riscatto finale. È più che altro un’immersione nell’essere umano, nelle molteplici svolte che l’uomo potrebbe imboccare; una di queste è la rinuncia al propria umanità, una regressione a uno stadio infantile, prenatale, dentro il ventre materno di una società comoda e basata sull’assuefazione, senza possibilità di rinascita. Forse il collegamento risulta azzardato, ma io no ho fatto fatica a rintracciare l’umanità dipendente dai farmaci di Tevis alla nostra, distratta dai molteplici stimoli dell’intrattenimento, assuefatta alla navigazione compulsiva della rete e dei social network che non porta a nulla.
Se volete una distopia bella, seria, che si allinea a capolavori come 1984 e Mondo nuovo e si legge senza fatica (la prosa di Tevis è assolutamente limpida, la trama lineare) allora comprate questo romanzo.

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