Tempo perso nel racconto e anacronia, l’esempio di C’era una volta in America4 min read
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Se nella vita il tempo segue una sua linearità, in un romanzo può essere anacronico, ovvero anticipare eventi futuri o rivolgersi a quelli passati, creando un doppio sguardo lungo il filo della narrazione, rivolto all’indietro (analessi) o in avanti (prolessi).
Cent’anni di solitudine è un’opera in cui il tempo può essere circolare o a spirale, in nessun caso lineare.
Non c’è un inizio o una fine, quanto, piuttosto, un procedere lungo un tempo narrativo che si biforca in continui flashback e anticipazioni.
L’anacronia parte subito, fin dall’incipit:
“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.”
Per quanto noi viviamo un tempo biologicamente lineare, concettualmente compiamo continue anacronie, come Umberto Eco spiega nel saggio Sei passeggiate nei boschi narrativi:
“Accade anche quando qualcuno ci racconta un fatto qualsiasi: ‘Senti questa, ieri ho incontrato Piero, forse ti ricordi, è quello che due anni fa andava a correre tutte le mattine (analessi). Bene, era pallido, e ti dirò che ho capito solo dopo il perché (prolessi), e mi dice – ah, avevo scordato di dirti che quando l’ho visto stava uscendo da un bar, ed erano solo le dieci di mattina, capisci (analessi) – dunque Piero mi dice che – mio Dio, ti sfido a indovinare che cosa mi ha detto (prolessi) – dunque mi dice che…‘.
Quando la narrazione è anacronica e i tempi sono decisi dal narratore, senza rispettare la loro linearità, è un intreccio, quando è lineare è una fabula.
Dal punto di vista cinematografico, un esempio perfetto di anacronia è C’era una volta in America di Sergio Leone.
SPOILER SUL FILM – Il film inizia nel 1933, quando Noodles (De Niro) è un gangster già affermato. Non c’è una voce narrante, ma potremmo assumere che la prospettiva del film sia quella di Noodles stesso, dato che lo vediamo entrare in una oppieria e produrre la prima anacronia del film: un flashback, o analessi, che riguarda un fatto recente, la morte dei suoi compagni di rapina, i loro cadaveri sotto la pioggia.
Noodles poi fugge e giunge alla stazione per prelevare in un deposito una valigia che pensava piena di soldi e invece è piena di giornali. Sale sul treno e a questo punto c’è un flashforward, o prolessi, di notevole portata (la portata è la distanza temporale rispetto al tempo originario del racconto): siamo nel 1968 e Noodles, vecchio, torna nei luoghi della sua infanzia e della sua giovinezza. Poi abbiamo un flashback di notevole portata e anche ampiezza (ovvero lo spazio narrativo che l’analessi occupa nel racconto) dato che per buona parte del film rimarremo nel 1920 dove viene raccontata l’ascesa del personaggio e dei suoi amici adolescenti in criminali efferati. Fino all’incarcerazione di Noodles. Da qui avremo l’ennesima anacronia: una prolessi che ci riporta nel 1968… poi torneremo nel 1932 per un’analessi piuttosto ampia, che copre un’altra parte consistente del film: il sindacato, le lotte operaie, il proibizionismo, Noodles e i suoi, uomini fatti, criminali rampanti… Il film è tutto un salto temporale, bellissimo, malinconico, struggente, fino al flashback che a ben vedere ci riporta al tempo originario della storia: 1933, Noodles è ancora nell’oppieria, sorride tra i fumi e i ricordi: ma… ricordava? Si è sognato tutto? Immaginava il futuro? È vita vissuta o dolce assuefazione la sua storia? – FINE SPOILER
Lo ammetto: per avere tutti questi riferimenti temporali mi sono affidato a Wikipedia, non ho visto per la centesima volta il film, che comunque rivedrò prima o poi e non smetterò mai di vedere.

Ci sono poche opere, al cinema, che usano il tempo in modo fluido, mescolandolo come se fosse fumo, come questo film. Pulp Fiction, ad esempio, è un’anacronia più a blocchi, che sembra meno dettata dalle suggestioni del momento (l’oppio, i ricordi, una valigia alla stazione, le lancette di un orologio) quanto da una sceneggiatura ben congegnata.
In letteratura abbiamo una delle prime ancronie con l’Odissea: Ulisse racconta le sue avventure compiendo un’analessi di grande portata e ampiezza visto che parte dalla guerra di Troia.

Sempre in letteratura, una delle opere più pazze e anacronistiche di sempre è Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut. Qui, l’anacronia, tra l’altro, non è solo éscamotage letterario, metodo narratologico, ma è spiegata a livello filosofico. Il racconto è visto dalla prospettiva di Billy Pilgrim, reduce della seconda guerra mondiale, scampato al bombardamento di Dresda, professione ottico, che viene rapito dagli alieni tralfamadoriani che gli insegnano la capacità di saltare da un momento all’altro della vita, avanti e indietro, senza dover seguire l’ordine cronologico degli eventi. Così Billy ci racconta della sua infanzia, poi della sua morte imminente, poi di quando era stato rapito dagli alieni e chiuso in uno zoo spaziale, poi ancora la sua infanzia, per tornare prigioniero dei tedeschi a Dresda eccetera.
Insomma, in letteratura il tempo non è fisso, quanto piegato alle esigenze poetiche e di plot dell’autore. Forse potremmo considerare il tempo, in letteratura, come una ghiera che l’autore sposta lentamente ora in avanti ora indietro fino a focalizzare la sua poetica, darci il senso compiuto della sua opera.
