"Ognuno potrebbe" di Michele Serra: il nostro destino è perderci3 min read
Reading Time: 3 minutesarticolo di Gianmaria Tammaro per Wired.it
Non credo che Michele Serra con il suo ultimo romanzo, Ognuno potrebbe, abbia voluto condannare senza riserve la generazione digitale (e quella precedente, di precari ed eterni indecisi); non credo nemmeno che il suo libro parli di questo, quanto piuttosto dell’inadeguatezza di ognuno di noi come essere umano.
Il suo è un racconto possibile, non vero ma verosimile. Il protagonista, Giulio Maria, è un trentaseienne con un dottorato di ricerca in antropologia; lavora con Ricky e studia – sì, studia – le esultanze dei calciatori. È fidanzato, vive ancora con sua madre (e la sua vecchia professoressa di liceo) e non ha mai avuto un vero rapporto con suo padre. È erede di una catasta di legname e di un capannone industriale, e non sa cosa fare della sua vita. La sua diffidenza verso il dilagante – e diseducato – uso degli iPhone e della tecnologia è una critica puntuale, a tratti condivisibile a tratti no, della realtà. Viviamo in un mondo che non possiamo toccare ma da cui, però, ci lasciamo influenzare.
Si contano tre comparsate di un cinghiale, animale guida scelto quasi per caso per Giulio Maria e che ritroviamo anche in copertina disegnato da Gipi; e si scoprono le paure e le diffidenze di chi, dalla vita, non ha avuto niente. Siamo nella periferia industriale italiana, quella del nord-est, tra le nebbie padane e i ruderi di un’industria che, forse, non tornerà più. Serra non prova nemmeno a tracciare una linea netta tra quello che è giusto e quello che non lo è; cerca, però, di analizzare i fenomeni dilaganti e indiscriminati dei nostri tempi, e di rapportarli con una realtà che è, volenti o no, totalmente diversa. Giulio Maria è a un incrocio. Critico verso la tecnologia, ma non digiuno di essa. Con un’idea confusa di passato e con una speranza, ancora più incerta, sul futuro.
Ne Gli Sdraiati Serra criticava senza pietà una generazione che ha lottato (non così tanto, poi) per ottenere quello che le spettava: che ha aspettato e che aspetta sdraiata su un divano. In Ognuno potrebbe, invece, fa un passo avanti: ammette colpe e responsabilità dei padri (quindi, in un certo senso, di se stesso) e prova – non a giustificare, ma – a raccontare nella sua totalità, allargando il punto di vista del lettore, la difficoltà, di oggi, di essere giovani. Di avere trent’anni, di voler lavorare e di non potere. Di trovare in un aggeggio, in un egòfono – come lo chiama Serra – un riparo molto più confortante di un tetto o di una famiglia. Di selfie che sono la nuova frontiera della masturbazione (viene da lì, dice Serra); e di una vita che si ripete sempre uguale, una rotonda senza fine, per “perdersi”.
“La salvezza è nella materia, nelle nostre mani”, ha detto Serra in televisione, a Che tempo che fa. Ma in Ognuno potrebbe accusa anche chi, quella materia, l’ha nascosta e allontanata alle nuove generazioni. “Avrei potuto, ma non l’ho fatto”, confessa Giulio Maria.
Serra prescrive una dieta di passi indietro e di momenti passati a pensare; e racconta una storia di scelte (il più delle volte sbagliate, altre, invece, semplicemente mancate) e di possibilità. Possiamo, non vogliamo, proviamo. Dipende da noi.
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