La crisi del libro e la classe dirigente che non legge2 min read
Reading Time: 2 minutesarticolo di Paolo Armelli per Wired.it
In Italia non si legge, e questa non è certo una novità. Ma più nel tempo si allunga la serie di dati negativi sulla crisi del libro nel nostro Paese, più un dato è certo: non si è fatto praticamente nulla, in questi anni, per invertire la tendenza. Lo confermano le valutazioni presentate dall’AIE (Associazione Italiana Editori) alla Buchmesse di Francoforte, la più importante fiera libraria europea: nei primi otto mesi del 2015 il mercato dei libri ha registrato un -1,9% di fatturato e -4,6% per le copie vendute.
Eppure il settore editoriale italiano cerca strenuamente di dimostrare segnali di vitalità. Possiamo considerare tali perfino la megafusione Rizzoli-Mondadori, così come il moltiplicarsi senza sosta dei festival letterari (la settimana prossima parte a Milano Bookcity, ad esempio). Non tutto risulta positivo in sé e anzi molte iniziative sono criticabili, ma almeno si manifesta un’intenzione, da parte degli operatori editoriali, di fare qualcosa per rilanciare il “prodotto-libro”.
Il mercato, poi, mostra già da solo dei segni più: cresce l’editoria per ragazzi (sia in titoli pubblicati, +5,9%, sia in quota di mercato, +5,7%) così come il settore degli ebook (40,5 milioni di fatturato e +26,7% titoli digitali prodotti). La letteratura italiana convince, se vogliamo, anche dal punto di vista qualitativo, tanto che nel 2014 la vendita di diritti di autori italiani all’estero registra un +6,8% nel numero di titoli esportati un e +2,6% di fatturato (40 milioni di euro) rispetto all’anno precedente.
Ma allora perché la situazione è tanto tragica? L’AIE fa emergere un dato finora mai sottolineato abbastanza e che sa di un’amara denuncia: il 39,1% dei dirigenti e professionisti italiani in un anno non apre neppure un libro (in Francia e Spagna questo fattore scende al 17%). Fra questi ovviamente ci sono i politici, che paiono totalmente disinteressati alla questione cultura. La domanda è allarmante: chi dovrebbe leggere se non lo fanno nemmeno le persone con titolo di studio, posizione sociale e reddito più alti?
“La verità è che la classe dirigente, politica ma non solo, non sa nemmeno cos’è è un libro“, ha dichiarato Federico Motta, presidente di AIE. “Viviamo nella società della conoscenza, dove la capacità competitiva del paese risiede nella sua cultura. Con questi dati siamo destinati al declino“. Un’invettiva che è confermata anche da meri dati economici: il Centre National Du Livre in Francia spende all’anno 33 milioni di euro per promuovere la lettura. E in Italia? Il nostro Centro del Libro solo 1 milione.
Dunque siamo di fronte a un’emergenza che è politica oltre che culturale e strutturale. Poco cambia se, a livello simbolico, il sottosegretario alla Cultura Ilaria Borletti Buitoni era presente a Francoforte mentre si snocciolavano questi dati inquietanti. Finora si è sempre tentato di risollevare la lettura partendo dal basso (l’iniziativa #ioleggoperché di quest’anno, dagli esiti più o meno convincenti, aveva proprio questo intento). Ma ora è chiaro che il segno meno non si invertirà mai se non si parte dall’alto. Classe dirigente in primis.