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Su Woody Allen e il suo presunto declino3 min read

17 Luglio 2015 3 min read

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Su Woody Allen e il suo presunto declino3 min read

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articolo di Gianmaria Tammaro per Wired.it
Dopo la pubblicazione dell’articolo di ieri su Woody Allen (“L’ultimo Woody Allen giudicato imbarazzante”), si sono – com’era prevedibile, del resto – scatenate le polemiche. E se qualcuna mi sono permesso di ignorarla, qualcun’altra ho deciso di valutarla con attenzione. Di fermarmi, e di rifletterci su.
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Come mi hanno fatto (giustamente, aggiungo) notare Federico Gironi e Mattia Carzaniga, due professionisti del settore “critica cinematografica”, ieri, nelle mie premesse e nelle mie conclusioni, sono stato piuttosto vago: potrebbe essere passata (ma non è detto che sia successo) l’impressione che, per me, dopo Manhattan, Woody Allen non abbia più girato film di qualità. E che il suo “lento declino”, come l’ho chiamato, sia cominciato allora.
In realtà, come ho avuto modo di precisare, il declino che imputo a Woody Allen è cominciato, secondo me, alla fine degli anni ’90, primi anni 2000 volendo essere (un po’) più precisi, quando la sua “poetica”, mi azzardo a definirla così, è virata bruscamente, e si è avvicinato a tanti altri generi. (Distinguo tre periodi di Allen: il primo, che va fino al 1997 e a Harry a Pezzi,  quello d’oro; il secondo, di transizione, va dalla fine degli anni ’90 fino al 2004; dal 2005, con Match Point, inizia il “periodo europeo”).
Negli ultimi anni poi, e parlo da quando ha cominciato a filmare in giro per le capitali europee, Woody Allen ha provato a fare suoi toni più leggeri, che rendessero la narrazione delle storie più “vicine”, in un certo senso, al (grande) pubblico. Ha provato a leggere i gusti dei suoi spettatori, e a orientarsi in base ad essi. Secondo me, però, fallendo. Le uniche due eccezioni, di questo ultimo periodo, sono rappresentate da Midnight in Paris e Blue Jasmine (che, tra le altre cose, non è nemmeno stato girato in Europa).
Irrational Man, l’ultimo film, è ancora inedito qui in Italia. Non ho avuto la possibilità di vederlo (perché non sono andato a Cannes, per esempio) e quindi, ieri, sono partito da una recensione non mia, ma di una giornalista americana, Jessica Kiang, che scrive per Indiewire – un giornale che mi sento caldamente di raccomandarvi; proprio come vi raccomando di cercare Gironi e Carzaniga, per leggere le loro recensioni.
L’obiettivo di questa mia valutazione, quindi, voleva essere un altro. E voleva esserlo tenendo presente una cosa, fondamentale: io sono un fan e un grandissimo estimatore (fan?) di Woody Allen. Se dico che “non è più lui”, lo dico con l’amaro in bocca, consapevole di poter essere sbugiardato in qualsiasi momento – ma la mia è una sensazione, e voglio esprimerla.
Ho avuto come l’impressione che negli ultimi anni Woody Allen abbia allentato la presa sulla regia, sempre più “abbandonata” e lasciata alla mercé degli attori e delle loro interpretazioni (l’ha detto Cate Blanchett e l’ha ripetuto anche Joaquin Phoenix). Anche i suoi testi hanno perso il mordente che avevano a inizio carriera: e l’ho detto prima, questo “lento declino” è iniziato da quando Allen ha cercato di cambiare passo, di avvolgere il racconto dei suoi film con toni più leggeri (ma perché?).
Sono partito da una premessa non mia – una critica negativa a Irrational Man – per chiedermi (e chiedere): è il caso di insistere, dopo anni e anni di (onorata) carriera? È il caso di continuare, benché ci sia ancora “passione”, a fare film se alcuni (molti?) di questi film poi non riescono? O bisogna provare a cambiare, magari con la televisione, e a farsi da parte?

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