“Cronache del Mondo Emerso Le storie perdute” – recensione V. Garreffa8 min read
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Esiste un detto molto comune che dice: “il primo amore non si scorda mai”. In genere si parla di amore fra persone, ma adesso vogliamo parlare di un amore fuori dagli schemi: quello tra autore e personaggio. Il proverbio può essere condiviso, come no, ma la cosa certa è che un autore sarà sempre legato al personaggio con cui ha esordito nella sua carriera di scrittore e, anche se ad un certo punto lo metterà da parte per dedicarsi ad altre storie, si ricorderà sempre di lui, come se fosse, appunto, il suo primo amore. È il caso di Licia Troisi, la quale, a dieci anni dall’esordio e dal successo della trilogia Cronache del Mondo Emerso, ha deciso di lanciarsi in un’altra avventura a fianco di Nihal, l’eroina che è stata presente nella vita di molti giovani lettori. Dal ritorno alle origini è nato il libro fantasy Cronache del Mondo Emerso – le storie perdute, pubblicato da Mondadori, che racchiude, nelle sue 382 pagine, tre racconti che approfondiscono il personaggio di Nihal e la sua storia.
L’inizio del libro ci porta a Salazar, la città-torre in cui Nihal ha trascorso la sua infanzia. In una locanda entra un misterioso menestrello, con il volto coperto, che consuma un pasto, poi comincia a suonare il suo liuto, cantando una storia d’amore. Purtroppo per lui il pubblico non gradisce: preferisce una storia di guerra e di eroi. Il cantastorie decide di accontentarli raccontando di Nihal e delle sue gesta. Naturalmente quelli dell’eroina e della Battaglia d’Inverno sono ormai racconti che si narrano da ben cento anni e la gente li conosce a memoria; ma il menestrello ha in serbo qualcosa di diverso e, prima di intonare la prima strofa, anticipa che sarebbe andato “a un tempo remoto… che forse non è mai stato cantato. All’ultima ora di gioia, prima che la Storia iniziasse davvero”.
In questa prima storia si vengono a scoprire le identità dei genitori di Nihal. Karna e Makthar vivono una vita umile e semplice, insieme alla loro figlia, Sheireen, ancora in fasce. Sono costretti a vivere in un campo profughi, nei pressi di Norrea, a causa della persecuzione che il Tiranno, Aster, attua nei confronti dei mezzelfi. Il lasso di tempo della storia non è particolarmente lungo: vengono narrati semplici azioni della vita quotidiana, mescolati con la paura di essere trovati dalle truppe di Aster. I fatti che accadono non sono un mistero, perché chi legge questo libro deve sicuramente aver letto almeno la prima trilogia del Mondo Emerso: è sconsigliabile fare il contrario, altrimenti si rischia di non comprendere e godere questo libro. Interessanti sono le scene che si susseguono dal ritrovamento della neonata alla fine del racconto, perché si assiste in prima persona alle decisioni, che la maga Reis e la sua apprendista, Soana, prendono per definire il destino di Nihal, e a quando Livon acconsente a prendere la bambina con sé, convinto dalle insistenze della sorella.
Nella seconda strofa, ci collochiamo qualche anno dopo la Battaglia d’Inverno. Qui vi troviamo una Nihal più matura e amante delle cose essenziali della vita: una casa e una famiglia. I tempi della guerra e delle battaglie gloriose appartengono, ormai, al passato, tanto che la protagonista e Sennar hanno deciso di allontanarsi dalle onorificenze che il Mondo Emerso riservava a loro e di ritirarsi a vita privata, nelle Terre Ignote, tenendosi alla larga dagli elfi, poiché questi ultimi sono estremamente ostili con le razze diverse da loro. La vita di Nihal trascorre serena, insieme all’amore di Sennar e del figlio, Tarik, alla protezione di Oarf e all’amicizia degli huyé, un pacifico popolo che vive non troppo lontano dalla loro casa nel bosco.
Nihal è felice, ma, allo stesso tempo vive nella paura: diversamente da quando era una guerriera responsabile solo di se stessa, adesso ha tutto da perdere. Infatti la tranquillità della sfera quotidiana viene interrotta quando Sennar viene impossessato da uno spirito, mentre una notte, faceva delle ricerche sulla cascata di Prekotar Aniré, anche detta “Porta dell’aldilà”. È qui che l’istinto di guerriero si risveglia in Nihal (meno male, oserei dire, perché vedendo la Nihal di adesso veniva un po’ di nostalgia di quella di anni addietro); riprende la sua spada e sale in groppa a Oarf, con Sennar e Tarik, verso il villaggio degli huyé, per chiedere aiuto. Purtroppo la malattia di Sennar è curabile solo dalla magia elfica, così Nihal decide di andare direttamente dal popolo che l’aveva esiliata, consapevole dei rischi che avrebbe corso. Con un travestimento, la guerriera riesce a introdursi nella città di Nelor ed è qui che conosce Klarath, un giovane mago, apparentemente privo di esperienza, ma che, in realtà, conserva grandi capacità. Il potere e le conoscenze dell’elfo sono in grado di guarire Sennar, ma le difficoltà non vengono a mancare: accidentalmente l’identità di Nihal viene scoperta e la vita serena di un tempo non può tornare quella di prima. Anche in questa storia il finale è prevedibile, ma il modo in cui vengono narrati i fatti costringono gli occhi del lettore a non staccarsi dalle pagine e, addirittura, in qualche caso, a inumidirsi di lacrime.
Nella terza storia, finalmente, non troviamo un finale già saputo, anzi il colpo di scena delle ultime pagine compensa la prevedibilità delle strofe precedenti. Sostanzialmente Troisi aveva due possibilità per la fine: conoscendola non pensavo che avrebbe optato per quella che ha scritto.
Gli eventi cantati dal menestrello sono ambientati ben cento anni dopo la morte di Nihal e dopo l’avvento di altre due Sheireen. Un mago, di nome Lefthika, insieme al suo schiavo, Ren, viene ingaggiato dagli huyé, per poter combattere gli elfi che minacciano continuamente il loro villaggio e i loro raccolti. È lui che riporta alla luce Nihal, al fine che addestri gli huyé per sconfiggere gli elfi e difendersi da attacchi futuri. Tuttavia il ritorno nel mondo dei vivi non porta che nuovo dolore nella mezzelfo, la quale viene a scoprire cosa ne è stato del Mondo Emerso e dei suoi cari dopo la sua morte. Solamente Oarf è l’unica traccia rimasta del passato. Inoltre Nihal non può che provare rancore nei confronti di Lefthika e di Ren, i quali hanno osato strapparla dall’aldilà, luogo in cui poteva riunirsi a Sennar e a Tarik. Quanto agli uhyé, che erano stati suoi amici, negli ultimi anni della sua vita, decide aiutarli, a patto che la facciano tornare indietro, una volta finito tutto. Quella di addestrare un popolo pacifico, che non ha mai combattuto, è un’impresa ardua, ma Nihal mette a disposizione tutto quello che ha imparato all’Accademia e durante l’addestramento con Ido. Le settimane passano, gli huyé migliorano e Nihal comincia ad affezionarsi a quel contesto, a quella gente e a Ren, che cerca in tutti i modi di essere di aiuto.
La particolarità di questo racconto è che non è da incentrare l’attenzione sulla battaglia in sé (perché, intendiamoci, la battaglia che concerne una ventina di soldati, per difendere i loro campi dagli elfi, non contiene la stessa epicità della Battaglia d’Inverno, in cui si sono decise le sorti del Mondo Emerso). Occorre guardare, piuttosto, la sfera psicologica della protagonista. Sono, spesso, frequenti le riflessioni da parte di Nihal su quello che è stato il suo passato, sul valore che dà alla battaglia, sul motivo che la spinge ad aiutare gli huyé (che se all’inizio è un motivo di tipo convenzionale poi diventa un motivo morale), sui suoi affetti che ha perduto e su quelli che ha (l’amicizia di Ren, la fedeltà degli huyé e la presenza di Oarf).
EVOLUZIONE DI UN PERSONAGGIO
In questo libro emergono dei lati del personaggio di Nihal: siamo sempre stati abituati a vederla come la Sheireen, la Consacrata, destinata ad essere un’arma per combattere il Marvash; invece, nell’arco delle storie di questo libro, abbiamo imparato a conoscerla sotto diversi aspetti, come, ad esempio, quello di madre, di moglie e di guerriera più consapevole e più matura. In questo l’autrice è stata piuttosto abile: ha mantenuto il carattere di base del personaggio e, allo stesso tempo, ne ha eseguito un’evoluzione della personalità.
Non soltanto Nihal ha subito una crescita; anche Licia Troisi è maturata molto dal suo esordio e lo ha confessato lei stessa in un’intervista. Adesso padroneggia la scrittura con più consapevolezza e ha uno stile più controllato e, come sempre, scorrevole. Uno dei difetti che aveva era che, certe volte, i personaggi perdevano di credibilità. L’esempio più calzante è una scena delle Cronache del Mondo Emerso, quando Nihal, durante una discussione accesa con Ido, colta dallo sconforto, si butta a terra in ginocchio: una persona, nella vita reale non farebbe un’azione del genere. Questo difetto è migliorato, ma non scomparso del tutto, ad esempio, in questo libro, nella prima storia, Livon accetta di crescere una bambina, appartenente, per giunta, a una razza perseguitata, con troppa leggerezza; l’unica restia che prova è nei confronti di Soana, poiché non si è fatta vedere per tanto tempo.
Trovo che sia stata una buona idea quella di incorniciare le tre storie con il canto del menestrello e la sua identità da scoprire: dato che le prime due storie erano prevedibili, questo elemento ha aggiunto una nota di mistero e, addirittura, un po’ di liricità, con i versi in rima, prima di ogni strofa.
CONCLUSIONI
Libro sicuramente adatto per i fans di Licia Troisi e, in particolare, della saga del Mondo Emerso, perché vengono narrati eventi importanti che nei libri precedenti erano solo stati raccontati dai personaggi. Si può credere che l’autrice abbia scritto questo libro anche per dare un destino diverso a Nihal, che non viene specificato troppo. Inoltre credo che la storia di Nihal rompa i classici parametri del “per sempre felici e contenti”: dopo aver combattuto duramente per conquistare la tua felicità, nella vita incontrerai ancora difficoltà e sofferenze, perché non si smette mai di lottare e di imparare: forse è questo il messaggio che Licia Troisi vuole lanciare.