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Recensioni

"Internet Apocalypse" – recensione di Andrea Micalone5 min read

29 Maggio 2015 4 min read

"Internet Apocalypse" – recensione di Andrea Micalone5 min read

Reading Time: 4 minutes

9788863552904
Titolo
: Internet Apocalypse
Autore: Wayne Gladstone
Genere: Fantascienza
Casa editrice: Multiplayer Edizioni
Prezzo: 14.90 €

 “Quando ci fu il grande crash non andò affatto come temevamo. Non ci fu panico. Niente lacrime. Solo gente che batteva i pugni sul tavolo e imprecava. Internet non funzionava più, e cliccare su Aggiorna non serviva a niente. Anche “Ctrl, alt, canc” era inutile. Nessuno aveva Internet da nessuna parte. E non sapevamo perché. L’elettricità, l’acqua corrente e persino la televisione non avevano subito danni.”

Inizia così il romanzo di Gladstone, folgorando il lettore e proiettandolo all’improvviso in una realtà dove Internet è inspiegabilmente scomparso. Niente più facebook, twitter, amazon, wikipedia. Il protagonista, un Gladstone alter ego dell’autore, si trova allora ad affrontare una strampalata indagine per scoprire cosa abbia causato il disastro. Ad affiancarlo ci sono il blogger Tobey e Oz, una webcam girl australiana.

La prima cosa che salta agli occhi nella lettura è che questa vicenda apparentemente “offline” sia in realtà un ironico viaggio proprio all’interno di Internet. Tra youtubers impazziti che seviziano gatti, zombie del web, 4Chan, Anonymous, porno con Cthulhu e persone che hanno un disperato bisogno di mostrare le proprie foto alla gente per strada, ogni episodio della trama va a parodiare un fenomeno del web, trasponendolo nel mondo reale e trovando in questo la propria forza satirica. Gladstone (l’autore) è del resto un umorista che scrive per Cracked.com e perciò è abile a estrapolare l’assurdo presente in simili situazioni.
I paradossali eventi in cui si vengono a trovare i protagonisti a tratti mi ha ricordato Douglas Adams e la sua ben più celebre Guida Galattica, ma non si raggiunge mai quella carica satirica geniale. In effetti, ora che ho terminato la lettura di questo libro, mi rendo conto di essere rimasto teso costantemente tra due estremità: da un lato la comicità che voleva entrare con forza e talvolta ci riusciva, dall’altro un senso del drammatico e un finale che ricorda vagamente Palahniuk (l’accostamento con quest’ultimo autore è stato fatto anche da altri, ma io aggiungerei che lo si trova solo per quanto riguarda alcune idee di trama e un senso di tristezza folle che pervade le pagine. Non si raggiunge mai la grandezza stilistica dell’autore di Fight Club). In questa eterna sospensione tra due estremi non sono riuscito mai a sentirmi pienamente soddisfatto. Il romanzo è ben scritto, ma nel momento in cui ci si potrebbe emozionare, qualcuno dei personaggi fa una battuta sciocca, oppure, proprio laddove si potrebbe ridere, ci si ritrova all’improvviso un flashback più o meno drammatico che spazza via l’allegria.
Nel suo andamento episodico, ho apprezzato maggiormente la prima parte della vicenda. Qui si rintracciano spunti di riflessione non indifferenti, soprattutto nel momento in cui ci si rende conto che l’unico ad essere punito e arrestato è un bravo orientale totalmente estraneo ai fatti, ma che si contraddistingue proprio per avere buone idee e nessun tipo di “guaio morale o esistenziale”.
Un’altra parte che mi ha sorpreso è stata la prima occasione in cui Gladstone e Oz finiscono a letto. Il passaggio forse è troppo repentino, giacché il protagonista appena qualche pagina prima aveva proclamato la propria vergogna alla sola idea di sbirciare le nudità della ragazza, ma nel momento in cui si calano nell’amplesso, l’autore tira fuori un paragrafo davvero stupefacente dal punto di vista letterario.
Questo mi porta direttamente a una delle caratteristiche che più mi hanno lasciato confuso in questo libro: la differenza qualitativa tra i dialoghi e la narrazione. Partiamo da quest’ultima. Quando l’autore-protagonista narra in prima persona gli eventi è avvincente, abile e talvolta anche emozionante. Usa un linguaggio mai banale, che sa sorprendere. Nel momento, invece, che si passa alle parti “parlate” mi è parsa evidente una continua ricerca del dialogo cosiddetto “brillante” o di battute fuori luogo. A essere più preciso, oserei dire che i dialoghi sono scritti in maniera cinematografica. I personaggi usano interiezioni e paragoni continui che sullo schermo potrebbero risultare davvero divertenti, ma che sulla carta mi sono apparsi forzati.
E poi c’è il finale…
Non dirò chiaramente cosa avviene, ma mi soffermerò sulla morale che emerge dal romanzo. In ogni caso, per evitare ogni dubbio, vi piazzo qui un bel

SPOILER ALERT
Ebbene, il finale mi ha deluso. In un romanzo dall’idea simpatica come la sparizione di Internet, dove viene ripetuto un gran numero di volte che non si può pensare di “tornare a un tempo più felice solo perché il web non c’è più”, proprio alle ultime pagine questo concetto sparisce. La trama termina con l’evidente rimpianto di giorni più felici, quando non esisteva ancora una connessione globale. A mio gusto, questo ha un po’ sminuito un libro che di per sé aveva invece un discreto potenziale. La negazione di quel concetto di partenza che mi pareva naturale e determinava i maggiori punti di valore del testo, mi ha lasciato con un po’ di amaro in bocca. È stato come negare tutto quello che di buono era stato detto in precedenza.

Conclusioni
In conclusione posso dirvi che questo romanzo è esattamente ciò che ci si può aspettare (tranne nel finale): Internet sparisce e le persone impazziscono. L’idea di base è bella, ma non trova poi la forza di trasformarsi in qualcosa di più. Non è un brutto romanzo e non lo sconsiglio a chi può trovare interessante il concetto di partenza, ma non mi sento di consigliarlo a chi invece non avesse un grande interesse nell’ambito del web. È un libro che raggiunge una piena sufficienza, ma che alla fine si dimostra più rassicurante di quanto si potesse supporre inizialmente.

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