"Tutto ciò che resta", thriller sull’identità digitale6 min read
Reading Time: 5 minutesrecensione di Daniela Marras
Di recentissima pubblicazione in Italia è Tutto ciò che resta per Longanesi, la prima opera di T.R. Richmond, uscita in Gran Bretagna col titolo What She Left e tradotta nella nostra lingua da Mirko Zilahi De’ Gyurgyokai, lo stesso traduttore del famoso libro di Donna Tartt, Il cardellino.
Non vi sono notizie sull’autore nella copertina del libro ma si intuisce che il nome “T.R. Richmond” possa essere uno pseudonimo e questa intuizione trova conferma consultando alcuni siti internet. Stando alle informazioni pubblicate online, l’autore è “un affermato giornalista che si è occupato di cultura sul The Daily Telegraph, The Independent, Time out, The Daily Express e The Bookseller”.
Richmond è inoltre presente su Twitter, per chi volesse colloquiare con lui in rete.
L’opera comincia con alcune righe che suscitano da subito qualche perplessità: si tratta della “Dedica del professor J.F.H. Cooke contenuta in Tutto ciò che resta, pubblicato nel settembre 2013”.
Ma come? Non è Tutto ciò che resta il libro che ci si accinge a leggere, scritto da T.R. Richmond e pubblicato da poco, nel 2015?! L’autore gioca coi suoi lettori ma non li prende in giro: in effetti tutta la narrazione è incentrata sulla realizzazione dell’opera del professore Cooke, dal concepimento della sua idea fino all’articolo pubblicitario in tema. Con ciò, non si svela nessun mistero: l’articolo in questione è alla pagina 32 del libro e compare come “Articolo su Anthropology à la Mode, agosto 2013” intitolato: “Perché ho riesumato il passato”.

Un libro nel libro quindi.
Protagonista, in un certo senso, è proprio il professor Jeremy Cooke ma l’eroina dell’opera di Cooke (e dell’opera di T. R. Richmond) è una giovane donna che viene presentata nel prologo con un articolo scritto da lei stessa, quando aveva quindici anni, e pubblicato nell’Arts Council Magazine nel 2001, in qualità di vincitrice della gara dei “Nuovi Talenti”. L’eroina si chiama Alice Salmon e, come suo padre, ama il salmone, scrive, facendo dell’autoironia, definendo se stessa e suo padre come dei veri cannibali. E poi ecco, si entra nel vivo, con la trascrizione di quanto pubblicato on line su un forum degli studenti di Southampton in data 5 febbraio 2012. Topic: Incidente.
I messaggi si susseguono dalle ore 8.07 fino alle ore 14.09, quando la conversazione viene sospesa. Un incidente giù al fiume, presso un ponte da tutti considerato pericoloso. Alle ore 10.58 si fa il nome di Alice Salmon, una ex studentessa, una di quelle brave, che ha scritto su Facebook l’ultima volta il pomeriggio del 4 febbraio, che lavorava nei media a Londra ma che non se la tirava…
Il libro prosegue poi con la “Lettera del professor Jeremy Cooke” in data 6 febbraio 2012. La lettera è destinata al “caro Larry”. Dalla lettera si evince che il professore apprende la notizia in sala professori, quasi per caso. Non segue i notiziari: a suo avviso infatti “la maggior parte produce solo disinformazione raccattando immondizia sensazionalistica e deprimente”.
Dopo la lettera del professore, ecco la “Biografia Twitter di Alice Salmon” datata 8 novembre 2011. Segue uno stralcio del diario di Alice, del 6 agosto 2004, quando aveva diciotto anni. Ecco poi un’altra lettera del professore al misterioso Larry.
Da quanto scritto finora si comprende che il libro non si sviluppa con una narrazione, per così dire, “tradizionale”: non c’è una voce narrante che ci presenta fatti e personaggi e accadimenti e pensieri e riflessioni e descrizioni di paesaggi e stati d’animo, in ordine cronologico, magari con qualche flashback ogni tanto. Niente di tutto questo!
Si prendano gli stralci del diario di Alice, le lettere del professore a Larry, i post sul blog di Megan Parker, il profilo di Alice su Facebook, gli appunti di Luke Addison sul suo portatile, i messaggi di posta elettronica, le e-mail, di Elizabeth Salmon e del professor Cooke, gli articoli pubblicati on line da Alice e a proposito di Alice, gli sms, gli stralci degli interrogatori della polizia, i messaggi registrati dalle segreterie telefoniche, le classifiche su Spotify e le collezioni Kindle, si prendano tutte queste “fonti” di informazioni e notizie, le si mescoli sapientemente, nemmeno in ordine cronologico, si lascino delineare i personaggi attraverso le loro stesse parole, le loro verità, si crei con eccellente maestria la suspense, il climax, suggerendo, ipotizzando, stuzzicando, creando tensione, aspettativa, attesa e curiosità, fino alla fine, quando, mancando poche pagine alla conclusione, il lettore si ritrovi magari a desiderare – facendo suo il pluricitato pensiero di Oscar Wilde (citato on line, in genere, ma non nel libro, in questo caso) – si ritrovi a desiderare, si diceva, che la tensione non cessi e che si rimandi ancora la soluzione del giallo… si consideri tutto questo insomma e, voilà, ecco tutte le tessere di un articolato puzzle di misteri e segreti che si ricomporrà solo alla fine.
C’è qualche concessione alla narrazione “tradizionale”: la si ritrova nelle lettere del professore a Larry e negli stralci del diario di Alice. L’autore ha pur dovuto fare i conti con dialoghi da riportare, accadimenti da descrivere e stati d’animo non facilmente comprimibili in un sms o in un tweet o non semplicemente riducibili a un emoticon.
Volutamente non si rivela nulla della trama che Richmond elabora nella sua opera: sarebbe un peccato rovinare la scoperta dei personaggi e delle loro vicende legate ad Alice.
Vi è chi ha classificato il libro come “thriller psicologico” e può essere una definizione calzante: Richmond ammanta di mistero i suoi personaggi, lascia che questi si presentino con le loro stesse parole e svela tutto molto, molto lentamente, senza peraltro lasciarsi andare a descrizioni macabre o morbose e senza che questo tolga tensione e curiosità.
CONCLUSIONE
In tutto il turbinare di parole del mondo della rete, in cui ciascuno di noi, al giorno d’oggi, chi più chi meno, si ritrova, ecco una citazione tra quelle preferite da Alice ed estrapolata dal suo profilo Facebook. Si tratta di una frase di Robert Wilensky: “Abbiamo tutti sentito dire che un milione di scimmie che battono su un milione di tastiere prima o poi produrranno l’opera completa di Shakespeare. Adesso, grazie a Internet, sappiamo che non è vero”.
L’opera di Richmond non sarà paragonabile a quelle di Shakespeare ma è un’opera che convince e merita attenzione sia da parte di chi ami i mistery sia da parte di chi ami i libri ben scritti, o, in questo caso, ben tradotti (a parte “scopamici” che chi scrive trova meno simpatico dell’equivalente “trombamici”, ma tant’è, il concetto è lo stesso), libri, si diceva, che sono specchio e frutto dei nostri tempi.
“A volte nella vita tocca fare un salto nel vuoto”, scrive Alice, come riportato negli appunti di Luke, quando il libro sta per concludersi.
Un piccolo salto nel vuoto, ecco cosa si può suggerire, un piccolo salto nel vuoto per immergersi in questo libro dalla narrazione atipica su un mondo che, dopotutto, è quello della maggior parte di noi…
Buona lettura!