Elena Ferrante non è un’autrice virtuale3 min read
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Articolo di Paolo Armelli, pubblicato su Wired.it
Elena Ferrante esiste. Il fatto da cui partire è questo: è un’autrice (o più autori) che si firma in quel modo e non si fa vedere in giro. Il suo valore letterario è quasi indiscusso, è amata dai lettori, in America è uno dei pochi scrittori italiani (attualmente la sola?) che riesce ad essere di rilievo. Proprio per questi e altri motivi la settimana scorsa Roberto Saviano e poi anche Serena Dandini l’hanno candidata al Premio Strega, volendo anche sparigliare le carte di una competizione letteraria sempre più vittima dei giochi sotterranei fra le case editrici. Ma questo gesto, volto a sottolineare la bontà dell’autrice e a scardinare certe consuetudini malate dell’editoria, ha scatenato una tempesta di bufale e sgarbi giornalistici senza precedenti.
La cronologia la ricostruisce bene Andrea Coccia su Linkiesta: il 24 febbraio su Repubblica Elena Ferrante firma una lettera in cui accetta la candidatura (ammesso che il regolamento del Premio lo permetta); il giorno successivo compaiono un’intervista immaginaria su Il Secolo XIX e una lettera falsa su Il Mattino. Il giornale napoletano ha pubblicato il testo con la seguente precisazione: “La lettera che qui segue è stata recapitata ieri pomeriggio in busta chiusa alla portineria del Mattino. Reca la firma di Elena Ferrante, ma non abbiamo la certezza che si tratti proprio della scrittrice la cui identità è ignota. Tuttavia gli spunti che contiene paiono degni di riflessione. Perciò la pubblichiamo, lasciando che il lettore giudichi da sé.”
In pratica Il Mattino ha rinunciato in questo caso a ogni principio di correttezza giornalistica e ha pubblicato un pezzo senza verificare la sua veridicità: sarebbe bastata una telefonata alla casa editrice. Le Edizioni e/o, infatti, hanno subito smentito sui social e poi con un comunicato che quella seconda lettera fosse di Ferrante. Ma come se non bastasse, ieri anche Il Fatto Quotidiano ha pubblicato l’ennesimo testo falso attribuito a Elena Ferrante, specificando che è stato “raccolto per caso“. Alle rinnovate proteste della casa editrice, il Fatto risponde oggi con un tono assolutamente beffardo: “Che vuol dire Ferrante? Non è una mano, né un piede, né un braccio, né un viso, nulla di ciò che forma un corpo (…). Sono un falso come ogni letteratura“. Segue la firma “Elena Ferrante?”, non prima però di aver invitato la e/o a sfidarli a duello usando l’arma del “trombone“.
Ora, è chiaro che si è passato un limite: la correttezza e, soprattutto, la missione giornalistica sono state abbandonate per abbracciare chissà quali altri fini, ma non certo quelli della qualità. Pubblicare il nome di Elena Ferrante in prima pagina in questi giorni attira qualche lettore in più? Fa vendere un paio di copie in più? Non ne possiamo essere certi (ma nel dubbio le testate ci provano). Sicuro, invece, è l’atteggiamento con cui i giornali trattano un fenomeno come quello di Elena Ferrante: lordano il suo nome (è un nome di penna, ma sempre un nome), s’impossessano della sua identità, ne manipolano l’opera per i propri interessi. E tutto questo perché è un autrice che non possono incasellare e sfruttare come tutti gli altri, in quanto ha deciso di rifuggire dal sistema dei media.
Ora, probabilmente la candidatura di Saviano, nata con le migliori intenzioni, a Elena Ferrante ha fatto più male che bene. Ma a farle male sono soprattutto i giornali che ormai in nome di chissà quale chiacchiericcio lasciano da parte ogni scrupolo. Perché Elena Ferrante non è una scrittrice virtuale, esiste (in uno o più corpi) e va in questo senso rispettata nella sua integrità autoriale. E la cosa ancor più assurda è un’altra: che dei suoi libri si è smesso di parlare.