Perché Whiplash è un film ideologicamente sbagliato (e quali autori leggere per capirlo)3 min read
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Recentemente ho visto Whiplash, film diretto da Damien Chazelle sull’amore per la musica jazz, l’ambizione del giovane Andrew (Miles Teller) di diventare il miglior batterista del suo tempo e il rapporto ai limiti del sadomasochismo con il suo professore Terence (JK Simmons), cattivissimo, pelato, perfezionista, rissoso. Una specie di fusione di Nosferatu e Benito Mussolini. Il film ha vinto al Sundance festival e si è aggiudicato l’Oscar per il miglior attore non protagonista (Simmons), miglior montaggio e miglior sonoro. Dopo essere uscito dal cinema, ricordo che ho pensato a un prodotto perfettamente riuscito e non a uno sforzo artistico più o meno riuscito. Un prodotto di alta qualità, sia chiaro, ben recitato, ben sceneggiato e ben montato, ma in quanto prodotto studiato con astuzia.
Perché dico questo? Perché Whiplash racconta la storia di un’ossessione per la musica senza trasmetterla. Se Andrew fosse stato un aspirante maratoneta e Terecnce il suo allenatore, sarebbe stata la stessa cosa. Bella sceneggiatura, bravi attori, bel montaggio. Si parla di maratone e non di musica jazz? Non fa alcuna differenza. Il prodotto rimane ben confezionato. Godibile, encomiabile per i suoi tanti pregi, ma carente riguardo proprio a quell’ingrediente che avrebbe dovuto esserne la base: la follia.
Folle è un ragazzo che rinuncia all’amore, si fa sanguinare le mani e rischia la vita in un incidente d’auto per suonare la batteria, per essere IL MIGLIORE.
Folle è un insegnante che picchia i suoi studenti perché non sanno tenere il tempo, li mortifica chiamandoli “palla di lardo” (Full Metal Jacket docet) e sottoponendoli alla pubblica umiliazione.
Folle, certo, come lo è per certi versi l’arte quando coinvolge a tal punto chi la crea da costringerlo a sacrificare tutto pur di riuscire nel suo proposito: riproporre la vita, le sue tante contraddizioni, attraverso la bellezza, sia essa un’esecuzione alla batteria, una pittura su tela o un romanzo.
Il problema è che la follia di Whiplash, come dicevo, non è sentita, ma parte di un prodotto ben confezionato e che alla fine lascia non dico delusi, ma freddi. Non aggiunge nulla, nel cuore dello spettatore, su quello che già sapeva della vita.
Dopo aver letto l’articolo di Goffredo Fofi per Internazionale – Whiplash è una favola per gonzi di destra – mi sono reso conto che non solo Whiplash è un film artisticamente mancato, ma ideologicamente sbagliato. Sì perché alla fine, più che l’opera d’arte in sé, il raggiungimento della perfezione espressiva, sembra che il protagonista, il giovane batterista, abbia come obiettivo quello di essere il migliore e basta. E questa non è la pulsione di una personalità genuinamente ispirata quanto patologicamente ambiziosa. Da qui, la riflessione secondo cui se Whiplash invece che la passione del jazz avesse trattato quella per la maratona o per la vendita di auto di seconda mano, sarebbe stato ugualmente un buon film.
Fofi parla di questa ideologia terribile dell’America nel dividere il mondo tra vincenti e perdenti, tra chi arriva primo e tutti gli altri e di come la letteratura americana, in passato, ci abbia aiutato a compensarla e sia servita come antidoto. Ed è vero. Autori come Bukowski (Post Office), Salinger (Il giovane Holden) e Raymond Carver (tutti i suoi racconti), artisti genuinamente ispirati da un’ansia che non era dettato solo dall’esigenza di “essere-il-numero-uno” ma di dar voce alla solitudine, ci hanno spiegato quanto fosse duro vivere nella “società dei numeri uno”. Così come il capitano Achab di Moby Dick ci ha spiegato benissimo, col cuore, cosa significa avere un’ossessione (nel suo caso la balena bianca), esserne dipendenti e perseguirla fino alla morte. Ma quella era arte. Pura follia. Il personaggio splendido di uno dei più grandi romanzi americani scritto con l’anima e senza il proposito di esserlo, e non un prodotto furbo e da Oscar.
