Autori indie e scrittori che non fatturano un euro3 min read
Reading Time: 3 minutesIl confronto di due articoli pubblicati online di recente mi spinge a fare una riflessione sullo stato dell’edtoria attuale e su cosa significa essere scrittore oggi. Il primo articolo, pubblicato su Manifesto e riportato da Dagospia, riguarda un autore italiano: Aldo Busi che dichiara di non aver fatturato un solo euro nel 2014. Nessuna ospitata televisiva, nessun articolo di giornale. Niente di niente al di fuori della sua attività di scrittore. La parola scritta lasciata a se stessa, non l’ha retribuito con un solo centesimo. È l’amara confessione di un autore con una corposa bibliografia alle spalle e conosciuto da tutti grazie anche alle sue comparse in tv.

L’altro articolo è un post pubblicato sul The Guardian dal blogger scrittore Damien Walter in cui parla del 2014 come di un anno di rinnovamento per quanto riguarda il genere fantasy e scifi e dell’affermazione di un nuovo modello di scrittore appartenente al suddetto genere: l’indie (o “indipendente”) a discapito dell’autore tradizionale pubblicato da una casa editrice. Il 2014 si è chiuso con la lista Amazon degli ebook fantasy e di fantascienza più venduti, coperta da autori per cui la pubblicazione tramite casa editrice, è stata solo l’ultima istanza – e non sempre necessaria – di un processo di auto pubblicazione e auto promozione. Walter cita i nomi di Hugh Howey, AG Riddle, Michael Bunker, Sarah Fine e Edward B. Robertson. Tutti autori che si sono fatti conoscere attraverso il self publishing e hanno costruito un dialogo con gli utenti per formare un proprio pubblico.
Ora, Aldo Busi non ha mai pubblicato romanzi sci/fi (a parte Madre Asdrubdala storia ambientata in una Milano del futuro, anche se la fantascienza qui è un pretesto), non è un autore di genere. Lui stesso non si definisce autore, ma scrittore. Tuttavia, io penso che il discorso di Walter prescinda il genere e si rifaccia al mestiere di scrittore (o autore) oggi. E ci porti a chiederci cosa significhi quell’indipendente (indie). Romanticamente potrebbe significare puro e duro, che non scende a compromessi e prescinde qualsiasi imposizione della casa editrice anche a costo di non venire pubblicato. Ma oggi “indie” significa un autore che se la sbriga da solo, ha un proprio codice IBSN, paga le spese inerenti la pubblicazione su carta, la promozione dell’opera attraverso la rete, si preoccupa di promuoverlo sui canali appropriati come i social network e deve interfacciarsi solo con i distributori. Come Hugh Howey aveva spiegato in un’intervista a Wired.it, oggi un autore deve pensare a se stesso un po’ come a una start-up. Basarsi sul proprio talento di autore, certo, ma che non può prescindere una capacità manageriale.
Tutto ciò, naturalmente, vale soprattutto per gli esordienti, ma anche gli autori affermati hanno compreso il potenziale della rete, quanto sia importante rimanere connessi al proprio pubblico. Un esempio? Haruki Murakami, autore giapponese straletto (Dance, dance, dance; L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio) che aprirà un sito, Murakami-san no tokoro, che, entro la fine di gennaio, raccoglierà tutte le domande rivolte dai suoi fan.
Furbo? Forse. Indipendente? Magari lui no. Ma connesso al mondo (e al proprio portafoglio) decisamente sì.