blog di Alberto Grandi
Cose da scrittori

La dipendenza della "riscrittura" e forme di disintossicazione4 min read

31 Agosto 2014 3 min read

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La dipendenza della "riscrittura" e forme di disintossicazione4 min read

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Uno dei grandi scogli che un autore deve superare per poter pubblicare il suo libro è finirlo. O meglio, convincersi che lo ha finito. Perché arriva un giorno in cui il testo va alla fin fine bene e ogni revisione compiuta diventa masturbazione compulsiva, il sintomo di un’ossessione che nasconde la paura di esporsi. Si tratta di uno scoglio grosso, specie di questi tempi in cui si scrive senza dover più affrontare spese come i pacchi di fogli e i nastri di inchiostro per la macchina da scrivere, spese che magari, in passato, forzavano un autore a decretare il compimento di un lavoro per poter dedicare le proprie esigue economie alla stesura di un nuovo romanzo.
Oggi si scrive con la stessa facilità con cui si respira e quindi riscrivere anche quando non serve più è una grossa tentazione.
Io credo che per convincersi che il suo romanzo è finito, un autore deve tenere presente che non esiste una stesura definitiva. I romanzi sono imperfetti perché lo è il genere umano. Quindi eternamente perfettibili. Io credo che la fine di un romanzo avvenga in due tempi:
1) la storia è stata raccontata, la vicenda ha un inizio e una fine, non ci sono più aggiunte o modifiche da fare sul piano contenutistico.
2) la forma del romanzo ci soddisfa, grosso modo, ulteriori modifiche sarebbero più che altro un lavoro di intarsio.
Quando un lavoro ci soddisfa sostanzialmente (non “completamente”), è terminato. Scrivere un romanzo, del resto, non è concentrarsi sul minimo particolare, la singola virgola, ma tenere sempre presente l’insieme, la visione approssimativa del progetto.
Approssimativa, sì. Ripeto qui, quel che scrisse Louis Ferdinand Céline, autore di Viaggio al termine della notte, a proposito dello stile: “C’è poi un trucco per far passare il linguaggio parlato nello scritto – un trucco che ho scoperto io solo e nessun altro – è l’impressionismo insomma – far passare il linguaggio parlato in letteratura – non è questione di stenografia – Alle frasi, ai periodi, occorre imprimere una certa deformazione, un artificio tale che quando uno legge il libro gli sembri che gli stia parlando all’orecchio – Si arriva a questo mediante una trasposizione di ciascuna parola che non è mai del tutto quella che ci si aspetta, una sorpresina. E’ quello che accade a un bastone immerso nell’acqua; perché appaia diritto bisogna spezzarlo un pochettino prima di immergerlo, deformarlo preventivamente, se così si può dire. Un bastone regolarmente diritto invece, immerso in acqua, allo sguardo sembra piegato. Lo stesso vale per il linguaggio – il più vivace dei dialoghi, stenografato, risulta sulla pagina piatto, complicato e pesante – Volendo rendere per scritto l’effetto di spontaneità della vita parlata bisogna torcere la lingua in puro ritmo, cadenza, parole, ed è una sorta di poesia che produce un grande sortilegio – l’impressione, il fascino, il dinamismo – e poi occorre scegliere il proprio soggetto – Non tutto si può trasporre – Occorrono dei soggetti “a vivo” – con i tremendi rischi del caso – tutti i segreti le rivelo”.
Céline qui dice sostanzialmente che quando si scrive, il segreto non sta nel trovare le parole esatte, ma il senso che le parole vogliono trasmettere, le emozioni, imprimendo ad esse un certo ritmo, la forza della sintesi. Le parole esatte e definitive sono impossibili da individuare così come un bastone diritto immerso nell’acqua non apparirà mai tale; il segreto sta nel piegarlo e spezzarlo per suggerire un senso di rettitudine.
Se però siete degli irrefrenabili ossessivi-compulsivi e scrivere per vizio, oltre che per passione, io penso che i concorsi letterari possano fornire una buona scusa per terminare un lavoro. Si è spesso lamentato l’eccessivo numero di concorsi, nel nostro paese, competizioni che non portano a nulla di sostanziale, al massimo l’inserimento della propria opera in qualche antologia che leggeranno giusto i vincitori. E’ vero. Ma è anche vero che un concorso ti fornisce una data, un limite entro il quale devi rientrare e può essere un buon escamotage a forzarsi di abbandonare la penna e non riaprire più quel maledetto file.
L’alternativa è non pubblicare mai celandosi dietro la scusa che si scrive per proprio diletto. Una scusa che spesso accampava JD Salinger, l’autore del Giovane Holden, per motivare la sua prolungata assenza dagli scaffali delle librerie. Nessuno è in grado di smentirlo, magari per lui era proprio così. Scriveva per sé stesso e al diavolo gli altri! Vero è che buona parte della sua leggenda, quando era in vita, oltre che dal suo indubbio talento, è stata nutrita anche dalla sua perseveranza a non pubblicare.

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