Voi non ci crederete, ma una sera mi capitò di
parlare con un uomo venuto dal futuro.
Ascoltate.
Erano le 11 passate. La notte era scesa, ma
di stelle, in cielo, se ne vedevano poche per via
della nebbia. La luna sembrava una macchia di
sperma su una gonna di velluto nero.
Alla tele stavo guardando The Walking
Dead, un telefilm sugli zombie. Non era un
gran telefilm, avevo visto di meglio. Lo stavo
guardando perché sugli altri canali non avevo
trovato niente di interessante.
Durante la visione, mi era venuta voglia di
una sigaretta e così avevo aperto il pacchetto
scoprendo che era vuoto.
A quel punto mi ero trovato davanti a un
dilemma quasi shakesperiano: scendere al bar
tabacchi giù all'angolo e comprarne uno nuovo
oppure finire di vedere la puntata di The
Walking Dead?
Se fossi sceso al bar per comprare le
sigarette, prima che fossi tornato a casa la
puntata di The Walking Dead sarebbe finita.
Se avessi visto la puntata di The Walking
Dead fino alla fine, poi, giunto al bar tabacchi
lo avrei trovato chiuso.
Che fare?
Il telefilm, l'ho già detto, non era niente di
speciale. Parlava di questo gruppo di persone
che si trova a sopravvivere in un mondo pieno
di zombie. Il gruppo a fatica stava unito.
Ognuno aveva la sua personalità e non sempre
legava con gli altri. C'era Andrea, ad esempio,
una bionda che aveva tentato il suicidio e
detestava la vita; c'era Daryl, un campagnolo
violento, molto abile con la balestra che
litigava un po' con tutti; poi c'era Lori, la
moglie dello sceriffo Rick, che per un pezzo
aveva pensato che suo marito fosse morto e
quindi si era fatta scopare a sangue dal
migliore amico di lui, Shane, e ora che aveva
scoperto che il marito era vivo, provava
terribili sensi di colpa.
Nonostante il telefilm fosse piuttosto fiacco,
alla fine un po' mi aveva preso. Succede
sempre così: quando guardi una cosa a
puntate, alla tele, finisci col volerla seguire,
anche se non lo meriterebbe.
Però se quella notte fossi rimasto senza
sigarette, sarebbe stato tragico, peggio che
vivere in un mondo di zombie, così scelsi di
raggiungere il bar.
Spensi la tv e uscii di casa.
Fuori, la foschia continuava ad aumentare.
Diventava sempre più fitta, come una matassa
di lana grigia. Raggiunsi il bar che il
proprietario stava già chiudendo; la serranda
era mezzo abbassata.
Quando mi vide arrivare, la abbassò del tutto.
- Salve -, dissi, - non è che mi può vendere
un pacchetto di sigarette?
- No -, rispose lui. - Ho già chiuso, mi
dispiace. Sei rimasto senza?
Feci di sì con la testa.
Il vecchio frugò in una tasca e mi porse una
delle sue. - Tieni. E' una Ms, non so se ti
piacciono...
Le MS mi facevano schifo, ma, come sa
bene ogni fumatore, a quel punto, pur di
fumare, avrei accettato una cartina contenente
merda di lucertola essiccata.
- Grazie.
- Non c'è di che.
Salutai il vecchio e m'infilai una sigaretta in
bocca. Mi accorsi di non avere da accendere.
Avevo scordato i cerini a casa, porca vacca! Il
vecchio, purtroppo, era già sparito dalla
circolazione. Come un fulmine era salito a
bordo della sua auto ed era sgommato via. Non
mi rimaneva altro da fare che camminare per il
quartiere in cerca di qualcuno che avesse del
fuoco.
Imboccai una direzione qualunque.
Camminai per circa dieci minuti senza
incontrare anima viva. Gesù, mi sembrava di
vivere in un quartiere fantasma! Il vuoto mi
circondava. Non c'era nessuno a destra, né a
sinistra, solo grandi palazzi grigi, anonimi,
squadrati, forati da decine di finestre spente o
con le persiane tirate.
Ad un certo punto udii dei rumori, poco
lontani, delle voci.
Bene, pensai, c'è qualcuno nelle vicinanze,
meno male.
Dopo pochi passi, intravidi un gruppo di
ragazzi seduti sulla panchina. Appartenevano a
loro, le voci. Ridacchiavano e parlavano ad
alta voce e si passavano una canna di mano in
mano. Dunque, avevano da accendere, ma
esitai a farmi avanti. Non mi sembravano
affidabili, quei tipi. Avevano facce incattivite,
non so se dalla vita in generale o da una serata
finita con un buco nell'acqua, ad ogni modo
avevano l'aria di ragazzi pieni di rabbia e
testosterone in cerca di un pretesto per sfogare
un po' d'aggressività.
Anche i discorsi che si stavano scambiando
non erano dei più rassicuranti.
- Minchia, oh, io li ammazzerei tutti quegli
stronzi -, stava dicendo un tipo alto, con una
giacca in pelle nera e il viso scavato e bianco
come un teschio.
- Tutti chi? -, domandò un suo amico,
stravaccato sulla panchina, dopo aver ciucciato
un sorso di birra direttamente dalla bottiglia.
- Tutti quei pacifisti di merda che oggi hanno
fatto corteo in piazza.
- Ma non erano pacifisti, erano precari o
disoccupati; protestavano contro l'austerity -,
intervenne un terzo tipo, con una canna tra le
dita.
Il teschio lo fulminò con lo sguardo. -
Pacifisti, precari, disoccupati, non fa nessuna
differenza. Sempre di sinistrosi si tratta.
Rott'in culo comunisti che non han voglia di
fare un cazzo. Se fossi nei celerini, io userei la
fiamma ossidrica per farli sfollare dalle piazze,
loro e la loro manifestazione di merda! 'Sti
rossi... L'Italia starebbe meglio senza, te lo
dico io. Ci vorrebbe un nuovo Duce.
Quello con la birra mimò il saluto romano.
- Un nuovo Duce con due palle d'acciaio. La
prima cosa che farebbe è chiudere il
parlamento. La seconda, mandare in galera
tutti i politici mafiosi. La terza, mettere al
muro tutti i rossi e fucilarli, cazzo. Ci vuole un
Duce, un Duce, un Duce!
- Du-ce! Du-ce! Du-ce!
No, non era il caso di chiedere ai neofascisti
se avevano da accendere.
Passai oltre.
Camminai per quasi un'ora. Perlustrai il mio
quartiere senza vedere un'anima, sentire un
suono. Tutto era immerso in questa foschia
che sapeva di malato. Ad un certo punto, stufo
di camminare, mi sedetti su una panchina,
infilai le mani in tasca, affondai il mento nella
sciarpa e pensai.
Pensai alla vita. Pensai alla vita che è fatta di
atomi. Minuscoli puntini formati, a loro volta,
da un nucleo di neutroni e protoni attorno a cui
girano gli elettroni.
Una volta il mio prof di chimica, al liceo,
aveva detto una cosa che mi aveva mandato
fuori di testa. Aveva detto che noi siamo fatti
di atomi, ma gli atomi non sono messi uno
sopra l'altro come dei mattoni. C'è del vuoto
tra gli atomi. E se questo vuoto fosse ridotto,
se gli atomi fossero messi vicini come mattoni,
allora noi, per conseguenza, saremmo più
piccoli, un concentrato di noi stessi.
'Sta cosa, ricordo, mi aveva mandato fuori di
melone e ogni tanto ci tornavo sopra, con la
mente.
Tipo quella sera.
Quella, sera seduto sulla panchina, ad un
certo punto tolsi la mano destra dalla tasca e la
guardai e mi dissi che quella mano era fatta di
vuoto e qualche atomo. Poi mi guardai
intorno: anche la panchina era fatta di vuoto.
Pure il marciapiede e quei palazzi grigi e solidi
dove dentro la gente dormiva, guardava la tv,
scopava, tutto era attraversato dal vuoto. Un
vuoto universale, potente, anzi, onnipotente.
Un Vuoto più potente di Dio.
Sempre con la mano destra, mi accarezzai la
guancia dove era cresciuto un brufolo, bello,
grosso e succoso. Con la punta del pollice e
dell'indice esercitai una lieve pressione. Il pus
schizzò fuori. Osservai la materia densa e
grumosa sulla punta delle dita.
"Anche questa roba è attraversata dal vuoto",
pensai, poi non pensai più nulla perché una
voce disse: - Affascinante.
Guardai alla mia destra e vidi, in piedi,
accanto alla panchina, un tipo assurdo. Un
uomo vestito con una tuta fatta di un materiale
stranissimo e riflettente, come uno specchio.
La tuta ricopriva l'intero individuo tranne la
faccia che era strana davvero e ora vi spiego
perché.
Questo tipo era completamente pelato, e non
parlo solo dei capelli. Non aveva neanche le
ciglia, intorno agli occhi, e le sopracciglia,
sopra. Era liscio, lucido, come passato a cera
da un bravo maggiordomo. La nuca, pallida,
era segnata da vene azzurrine che spuntavano
qua e là, come tatuaggi. Gli occhi erano
rotondi e di un colore strano, forse arancione.
La bocca non aveva labbra. Era solo una
fessura, invece le orecchie erano ben visibili,
due cose dilatate e all'infuori che sembravano
muoversi autonomamente.
Mi alzai dalla panchina. - E tu chi saresti?
Lo strano individuo sorrise. - Mi chiamo
Certus. Tranquillo, non avere paura. Non
voglio farti del male, ti stavo solo osservando.
- Osservando?
Il tipo annuì. - Ti studiavo nell'atto di
comprimere una parte della tua cute con lo
scopo di espellere quella lieve infiammazione
del follicolo pilifero. Fantastico!
Lo guardai come se fosse matto.
Lui si toccò la faccia e disse: - Io non potrei
fare una cosa del genere. Nessun uomo del
mio tempo potrebbe fare una cosa del genere.
Abbiamo la pelle liscia, i pori completamente
chiusi, noi. Inoltre la nostra dieta alimentare e
l'aria pulita che respiriamo evitano lo sviluppo
di imperfezioni cutanee. La vostra faccia,
invece, è piena di nei, foruncoli, rughe, sembra
la crosta di un pianeta devastato. E' repellente
e affascinante allo stesso tempo.
Istintivamente mi portai una mano al volto e
me lo accarezzai.
- Come ti chiami? -, domandò quel tipo
strano.
- Oreste -, risposi.
- Oreste... -, ripeté lui, in tono ispirato. - Che
nome.... nessuno più, nella mia epoca, si
chiama così... Oreste... che nome assurdo!
- E io non ho mai sentito di nessuno che si
chiami Certus -, dissi.
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