Nel cono di luce polveroso di una lampada da
cantiere, Giulio Magni raccolse una puntina e
infilzò con rabbia la fotografia sulla lavagna di
sughero, dopodiché, con un pennarello, tracciò
un ovale attorno al ragazzo in secondo piano.
Lo osservò. La visiera curva di un berretto da
baseball gli copriva parte del volto. Sui
vent'anni, appariva intimidito, in disparte,
quasi si fosse imbucato alla festa senza
davvero volerlo.
In un'altra occasione non lo avrebbe degnato di
uno sguardo. Eppure, quel piccolo
particolare…
Possibile?, si domandò Giulio.
Indietreggiò di un passo e scrutò il resto della
lavagna. Pur apparendo assai poco minaccioso,
il ragazzo – per lunghi tratti – corrispondeva al
profilo. Al pari degli altri cinque.
L'espressione di Magni s'indurì. Con
determinazione, passò in rapida rassegna tutte
le stampe prima di concentrarsi sulla più
recente. La sera dello scatto, il locale doveva
essere molto caldo, come suggerivano i visi
sudati e le macchie umide sugli indumenti dei
partecipanti.
Proprio quell'ultimo aspetto aveva catturato la
sua attenzione. Nonostante le maniche
arrotolate ben oltre i gomiti e le chiazze scure
sotto le ascelle, il ragazzo teneva la camicia
abbottonata sul collo fino all'ultima asola.
Magni calò un pugno sul tavolo. Nel silenzio
del piccolo ambiente, il colpo rimbombò
indisturbato.
Cosa diamine cerchi di nascondere? La tua
ributtante voglia violacea, per caso?
Giulio serrò la mascella.
So che sei fra questi. Ti troverò!
Un rumore sordo lo strappò dalle sue
riflessioni. Subito l'istinto innescò un
meccanismo di difesa ben collaudato: Magni
s'immobilizzò, chiuse gli occhi e si concentrò
solo sull'udito, il senso più utile in quella
situazione. Erano passi quelli?
Da sotto il tavolo recuperò una mazza di
legno. Prestando attenzione a dove posava i
piedi, raggiunse la porta. Inspirò e la socchiuse
di pochi centimetri. Nonostante il potente
fiotto di adrenalina nelle vene, procedette con
molta cautela. Un movimento troppo brusco
avrebbe fatto cigolare i cardini, tradendolo.
Non doveva perdere il vantaggio della sorpresa.
Pronto a colpire con forza, sbirciò attraverso la
fessura.
Era tutto calmo. Forse troppo, come se l'intero
isolato stesse trattenendo il fiato in attesa di
violenti sviluppi.
Spostò lo sguardo verso destra, ma il buio era
liquido e fitto. Ogni ombra poteva nascondere
una minaccia.
Era certo di aver udito quel rumore: un rametto
che si spezza sotto una suola.
Ma allora dov'era finito il tizio?
Nei successivi minuti, solo il vento si mosse
tra i rami delle siepi malcurate che, almeno
nelle intenzioni, avrebbero dovuto abbellire il
praticello attorno alla fila di box magazzino.
Giulio rilassò le spalle e tornò alla lavagna,
senza però mollare la presa sul randello. Aveva
imparato a non fidarsi mai delle apparenze.
Quelle bastarde erano pronte a voltarti la
schiena e fotterti nel giro di un istante. Senza
accorgersene, con le dita andò a sfiorare la
cicatrice sulla spalla destra.
Scosse la testa e si concentrò di nuovo sulle
fotografie.
Una sgradevole sensazione gli annodò lo
stomaco.
Sospirò. In quei giorni non aveva fatto altro
che aggiungere possibili candidati alla lista,
senza tuttavia avvicinarsi davvero all'obiettivo.
Soffocò un rutto acido e sputò un grumo di
saliva che atterrò sulle assi grezze del
pavimento. La nausea stava tornando alla
carica, prepotente. Appoggiò la mazza e si
affrettò a recuperare una gomma da masticare.
Che palle!
Un moto di frustrazione gli smosse le viscere.
Quelle immagini erano una maledizione. Ne
era attratto e al contempo le odiava a morte.
Mute e immobili, lo fissavano e giudicavano
senza pietà, ribadendo di continuo l'errore che
avrebbe solo voluto cancellare dalla memoria.
Estirparlo, non averne mai sentito parlare.
Fine, chiuso, dimenticato. Purtroppo,
nonostante gli sforzi e la dedizione, era
impossibile.
La dannata realtà lo tormentava ogni singola
notte.
E dall'inferno esisteva una sola via d'uscita.
Nascondersi era inutile. Bisognava affrontare
la cruda realtà e puntare verso l'unico spicchio
di cielo visibile, arrampicarsi anche a costo di
cadere. Scivolare e ricominciare, con un unico
scopo ben saldo in mente: trovare quel
miserabile figlio di…
«Basta!», mormorò Giulio a se stesso.
«Devo…»
Il trillo del cellulare lo fece sobbalzare.
Con il cuore al galoppo, si guardò attorno,
confuso.
In due passi raggiunse lo scaffale sul quale
aveva svuotato le tasche. Guardò lo schermo e
biascicò un'imprecazione. Pur senza voglia,
rispose: «Ciao amore!»
«Dove ti sei cacciato?»
«Sono… perché?»
«Secondo te? Sono le nove. Le nove! Noi
mangiamo, finché è ancora caldo. Tu
arrangiati. E poi, cosa ci fai ancora in giro?»
«Eh… Sono rimasto bloccato al lavoro per un
progetto urgente, amore. Scusa, senti…»
Sara appese senza concedergli il tempo di
infiocchettare la risposta. Giulio guardò
l'orologio. Come aveva potuto non accorgersi
che fosse così tardi? Maledisse la sua totale
stupidità. Non doveva in alcun modo attirare
l'attenzione su di sé. Fino a quel momento era
riuscito a volare oltre la portata dei radar.
Avrebbe solo dovuto mantenere la rotta, e
invece…
Tastò con delicatezza il livido bluastro sullo
zigomo. Il dolore pungente lo costrinse a
stirare le labbra in una smorfia.
Stavolta cosa m'invento?
Il matrimonio con una giornalista di cronaca
stava assumendo sempre più i contorni di una
pessima decisione. Quell'ematoma avrebbe
sollevato ben più di un interrogativo, che le
solite scuse non avrebbero soddisfatto.
Che imbecille!
Ringhiò, ficcò il cellulare in tasca e si affrettò
a sistemare l'interno del box, prima di chiudere
il lucchetto. Montò in auto e si immise nel
traffico scarso di via Stazione, lungo la quale
sarebbe sceso fino allo stadio di Lugano per
poi dirigersi verso casa, sulla collina di
Comano.
Poco lontano, una donna sorrise. Aprì il
taccuino, sul quale annotò l'ora
dell'avvistamento.
Davvero pensavi di poterti nascondere a lungo,
Giulio?
Il suo istinto aveva avuto ragione ancora una
volta.
Questo cambia tutto… Molto presto te ne
accorgerai!