Che vi sia luce
I
Una leggera pioggia obliqua e una nebbia
bassa e surreale condivano sapientemente quei
primi giorni di novembre. Stretta nel suo
cappotto grigio, una figura spaurita
camminava tra le ombre di un vicolo.
Era una via angusta, stretta tra una fila di case
dalle finestre cieche e le mura color sabbia che
cingevano il piccolo borgo. Conduceva a un
muro di mattoni, a una feritoia molto in alto, a
un gancio di ferro arrugginito.
Nessuno passava più da quelle parti, solo
sporcizia e odore asfissiante di umidità.
Allegra sentiva il fiato farsi corto e veloce,
vedeva il respiro condensarsi in nuvole che
svanivano come fantasmi. Il rettangolo di cielo
grigio sopra di lei si faceva via via più stretto,
l’eco dei suoi timidi passi sembrava spingerla
verso la fine della via, verso un’alcova di
oscurità. Si immerse, nel buio più completo,
con solo il respiro strozzato a farle compagnia,
e attese. Dopo parecchi istanti le pupille
dilatate cominciarono a intuire una sagoma
immobile, uno scherzo degli occhi, l’ombra di
un ricordo. Chiunque avrebbe riso in quella
situazione, riso per esorcizzare la paura del
buio, il senso funereo di oppressione al cuore,
e si sarebbe voltato per tornare sui propri passi
e prendere un’altra strada che lo conducesse
verso la luce.
Non lei però, lei era lì per un motivo, e si fece
coraggio ascoltando il martellare del suo
sangue, aspettando.Vide allora due occhi
aprirsi, due leggere variazioni del grigio, ma
dotati di un'intensità particolare, di una volontà
terribile e indipendente, che dava consistenza
all’intera illusione.
Allegra fece un passo indietro e trattenne il
fiato: non si aspettava di averla così vicino. La
figura soffiò nell’aria i suoi pensieri: «Allegra,
è bello vederti.»
«Ciao» salutò lei con un filo di voce.
«Avevi detto che non saresti più tornata.»
«Scusami.»
«Di cosa?»
Lei si passò la lingua sulle labbra screpolate e
pallide, le serrò per non mostrare il terrore che
la stava strangolando.
«Sei davvero sicuro che comincerà domani?»
chiese.
«Sì, indubbiamente.» L’ombra pareva sorridere.
Allegra cadde in ginocchio, afferrò il bavero
del cappotto con le mani guantate e lo
strattonò per costringersi a non piangere, ma il
suo bel volto dalle guance arrossate dal freddo
si contorse in una smorfia di paura.
«Perché?» sussurrò.
L’ombra si chinò su di lei, la avvolse nel
silenzio, in un abbraccio fatto di niente, eppure
Allegra si sentì come chiusa in un angolo
senza suoni: una bambina nascosta sotto le
coperte.
«Allegra, mia fragile Allegra» disse con
dolcezza e pareva cullarla.
Lei inspirò più volte come se non vi fosse più
aria: «Perdonami ma non ce l’ho fatta. Ne ho
parlato a Davide.»
«Ti avevo pregato di non farlo.» L’ombra si
mosse.
«Ha detto che rischio un esaurimento nervoso,
che sono vittima di allucinazioni, che i
fantasmi non esistono.»
«Ha ragione.»
«Ma tu esisti» bisbigliò, sgranando gli occhi e
stringendo i pugni. «Tu esisti!»
«Esistere è un concetto sopravvalutato, e da
domani niente di questo avrà più senso»
replicò l’ombra, e nel soffio che era la sua
voce Allegra percepì un senso di vittoria,
inquinato da una punta di malvagità. Ne fu
scossa. Si sedette sul selciato umido, appoggiò
una mano a terra, il capo chino, sconfitto.
«Perché me lo hai detto? Perché proprio a
me?» Alzò la testa verso il nero, le sue guance
infreddolite erano rigate da lacrime di rabbia.
«Non dormo da giorni, sono spaventata da
tutto, non faccio altro che guardarmi alle spalle
in attesa di qualche catastrofe. Perché mi hai
fatto questo?»
«Non vi sarà alcuna catastrofe.»
«Avrei preferito non sapere!»
«Quante volte ti ho detto di non desiderare
qualcosa perché potresti ottenerla?» L’ombra
sorrideva, un ché di indefinito nell’aria,
l’odore di un sentimento.
«Non è il momento» Allegra si arrabbiò. «Non
è proprio il momento per la tua filosofia da
bar. Io ho paura! È talmente inconcepibile che
non so cosa fare, cosa dire.»
«Sei stata tu a cercarmi, tu hai chiesto di
vedermi, altrimenti ora non sarei qui con la
mia filosofia da bar.»
Allegra gridò e si raggomitolò, dondolando
piano.
«Calmati» soffiò il vento, e l’ombra si avvolse
intorno a lei. Allegra ne avvertiva lo strisciare,
un impercettibile movimento, come seta nera
sulla pelle.
«Durerà solo tredici giorni, poi sarà tutto
finito.»
«Tutto finito?» Lei lo guardò con gli occhi
verdi cerchiati del rosso del pianto.
«Tutto finito.»
«Cosa ne sarà di mio padre? Di Davide e
Lorenzo? Di Rosanna?»
L’ombra divenne all’improvviso fredda, le
parole di Allegra si condensarono in nuvole
che aleggiarono nell’aria per lunghi istanti. Lei
si strinse nelle braccia e nelle gambe, appoggiò
la testa sul selciato e tremò senza controllo,
non vi era necessità di una risposta.
«Accadrà ciò che deve accadere e non posso
dirti altro finché gli eventi non si
compiranno.» La voce dell’ombra era affilata e
letale come un bisturi.
«Ti odio…» balbettò lei. «Sei senza cuore, lo
sei sempre stato.»
Dopo un lungo istante di silenzio dall’aria
giunsero parole amare ed ineluttabili:
«Lasciami andare adesso, mi costa ancora
molta fatica restare in questo mondo.»
Allegra continuò a singhiozzare con la testa tra
le ginocchia, e affogava in un odio infantile la
cacofonia di emozioni che le faceva impazzire
il cuore.
L’ombra la abbandonò, nessuno avrebbe notato
la differenza, ma Allegra avvertì il vuoto, il
freddo e la vastità del mondo.
Si alzò intirizzita, umida, e sporca. Le labbra
erano sbiancate dal freddo, dai capelli
stillavano minuscole gocce gelide. Con le
mani tremanti infilò in testa una cuffia
colorata, la calò fin sugli occhi e nascose le
mani in tasca, eppure non bastava, aveva
freddo, sentiva il gelo correrle sulla pelle, nella
carne. Iniziò a camminare sempre più
rapidamente, zoppicando, fuggendo da un
destino che sapeva di non poter comprendere.
Un suono di campane fece vibrare la nebbia.
Quanto tempo era rimasta lì? Contò i rintocchi,
e al dodicesimo la consapevolezza si fece
strada nella sua mente, la fece arrestare con la
mano guantata sul petto, il fiato rotto, il labbro
tremante di sgomento: era già domani.